Robert Louis Stevenson non si sentiva un poeta. “Per quanto possa provarci” – diceva all’amico J.A.Symonds – “le mie parole non diventano un canto”. Eppure, in quei versi zoppicanti che verranno raccolti in A Child’s Garden of Verses, i ricordi della propria infanzia riescono a farsi memoria d’infanzia, istantanee di un mondo che nessuno, prima di allora, aveva saputo raccontare con uguale autenticità.

Perché Stevenson adulto non ha dimenticato come lo sguardo di un bambino sia capace di illuminare e trasformare di colpo attraverso il gioco anche la cosa più ordinaria in qualcosa di straordinario. In quel mondo dove tutto è possibile, basta una cesta di vimini per solcare i mari, una sedia per espugnare un castello, un sogno o un albero su cui arrampicarsi per esplorare all’orizzonte terre misteriose, affascinanti, spaventose e lontane. E da quel mondo, gli adulti rimangono voci fuori campo o diventano tutt’al più oggetto di osservazione, materia da riplasmare nell’invenzione del gioco. A meno che non siano capaci di conservare la curiosità di conoscere, forza primaria, portentosa, che non si arrende di fronte alle incongruenze, ma che sperimenta, apre a strade alternative, immagina, crea e fa crescere. Sempre. Non è forse un caso, allora, che quasi un secolo dopo la pubblicazione di quelle poesie – tradotte nel 1944 in splendide immagini in bianco e nero dalla fotografa americana Toni Frissell – esca un altro libro fotografico per bambini fatto di immagini e filastrocche che, con lo stesso spirito autentico, colgono i piccoli nei loro momenti di gioco. 

È Cicci Coccò di Enzo Arnone e Bruno Munari, un’opera costruita nel corso di quasi un decennio che parla d’infanzia e all’infanzia senza filtri, lontana da stereotipi e luoghi comuni; il racconto per immagini e parole – apparentemente in disordine – di una quotidianità alle prese con il mondo e la sua scoperta attraverso la condivisione di esperienze comuni, di esplorazioni in solitario, di creatività, immaginazione, spostamenti di prospettiva e conoscenza attraverso tutti i sensi. La testimonianza di chi sapeva giocare con i bambini e che per questo, a volte, non era preso del tutto sul serio.