“Disgustati dalla carneficina della guerra mondiale del 1914, noi, a Zurigo, ci dedicammo alle arti. Mentre i cannoni tuonavano in lontananza, noi cantavamo, dipingevamo, facevamo collage e scrivevamo poesie con tutte le nostre forze.”

 

Faceva ancora di cognome Taeuber, Sophie, quando Hans Jean Arp, che poi sposerà e diverrà il compagno di tutta la vita, scrive queste parole. Allo scoppio del primo conflitto mondiale si era trasferita a Zurigo anche lei, in quella Zurigo che vede nascere il movimento Dada, laboratorio e fulcro della più innovatrice, sovversiva, irriverente espressione dell’arte moderna. È qui che sa di poter esplorare un nuovo linguaggio del visivo attraverso la pittura, la scultura, il design, la scrittura, la poesia, il cabaret, le marionette, la danza. E insieme a Jean lo fa giocando con forme tridimensionali, blocchi e macchie di colore assemblati in modo del tutto casuale, lasciando all’imprevisto e all’immediatezza dell’improvvisazione tutto il loro potenziale creativo. 

Seppur nel rigore delle geometrie i colori sembrano muoversi leggeri, fuori da schemi, quasi a ricordare il gioco dei bambini, il solo capace di accettare il caso con liberatoria gioiosità. 

 

 

Vive con passione la scena parigina del Cabaret Voltaire, tesse relazione con gli artisti costruttivismi, tra il 1937 e il 1939 fonda e dirige la rivista Plastique, creando un ponte tra l’arte europea e americana, il primo numero, che amerei tanto leggere, lo dedica a Kazimir Malevich, che amerei leggere. Sophie, architetto, nel 1929 termina la realizzazione della casa che lei ha progettato per il terreno acquistato con Jean in Francia. Anticipa addirittura le case di pietra di Le Corbusier di qualche anno.

Sophie non vedrà  purtroppo la fine della Seconda Guerra Mondiale e ancora oggi sfugge alla storia che la celebra, troppo spesso, come la moglie del grande artista.